Ti sembra di essere sempre nervoso prima di una performance? Ti sudano i palmi delle mani, ti batte il cuore e ti sembra di impazzire? Potresti soffrire di un disturbo sempre più comune: l’ansia da prestazione. In questo articolo parleremo delle cause dell’ansia da prestazione e di alcuni modi per combatterla.
Gli altri
Quante volte capita di chiedersi se si è all’altezza delle aspettative degli altri? Siano questi delle persone in carne ed ossa, oppure virtuali1, sono figure che in qualche modo noi sentiamo di dover tenere in considerazione, che possono giudicare il nostro operato, le nostre persone o, più spesso, entrambi. L’ansia da prestazione è quel tipo di ansia che viene nel momento in cui subentrano questi altri.
Non è necessario che siano presenti nel momento della performance, cioè gli altri di cui parlo non sono sempre il nostro partner sessuale, se parliamo di un problema di natura sessuale, come la disfunzione erettile oppure la platea di ascoltatori, nel caso della difficoltà di parlare in pubblico. A volte sono semplicemente gli altri presenti nella nostra testa, per così dire. Per altri intendo gli altri significativi per ciascuno. Cioè per qualcuno potrebbe trattarsi dei propri genitori, per altri degli amici o conoscenti, per altri ancora di estranei, per altri ancora persone del sesso opposto, eccetera.
A volte sento l’obiezione che non sono gli altri a rappresentare il problema ma noi stessi: “Non è per la brutta figura davanti agli altri, ma è per me stesso” oppure: “Non cerco di eguagliare o superare le aspettative degli altri, ma le mie stesse.” Ebbene, prima ho parlato di altri virtuali. Con questo termine semplicistico mi riferisco a un genere di rappresentazione mentale, per lo più inconscia, che ognuno di noi ha dentro di sé. Questo tipo riferimento è sempre presente dentro di noi, al punto che senza di questo non saremmo in grado di sentirci noi stessi.
In effetti la distinzione tra me e ciò che non è me, quindi altro, serve proprio per definire chi siamo. Se ci si pensa, anche quando siamo soli e sappiamo che nessuno ci sta guardando, neanche con una telecamera nascosta, siamo mai veramente da soli. Naturalmente ci possiamo comportare in maniera diversa, più disinibita, ma esiste sempre una specie di dialogo interiore. E se c’è un dialogo, allora ci sono due entità che dialogano. In altre parole è come se ci fosse sempre una specie di telecamera da qualche parte, solo che non c’è nessuno a monitorarla.
Le aspettative di chi?
Nel corso della storia della psicologia il concetto riferito a questi altri interiori ha preso diversi nomi a seconda del punto di vista dell’osservatore2. Per la psicoanalisi classica questa funzione viene assolta dal concetto di Super-Io, per la psicoanalisi Lacaniana da quello dell’Altro. Si potrebbero aggiungere ancora molti altri orientamenti, ma in sostanza si può semplificare di molto la questione guardando la pratica. Quando una persona giovane sceglie un lavoro, un partner, eccetera, lo fa perché lui o lei lo ha deciso in base alle proprie aspettative o a quelle dei genitori e dell’ambiente in cui è cresciuto?
Quando questa persona è diventata adulta e le decisioni che ha preso hanno determinato la sua storia fino a quel momento, ha seguito un percorso che ha scelto in base alla sua indole o in base a insegnamenti e valori di genitori e ambiente? Se chiedete a questa persona se ha raggiunto quello che voleva e quali siano i suoi progetti futuri, questa persona vi risponderà in base alle sue aspettative o in base a quello che genitori e ambiente si aspettavano da lui o lei?
La questione è delicata e non sempre siamo in grado di distinguere se quello che ci aspettiamo è quello che vogliamo veramente oppure quello che volevano altri per noi. Certo un indizio può darcelo il sintomo. Se per tutta la vita ho sempre pensato di volere fare una carriera brillante in una grande azienda, ma mi viene l’angoscia tutte le volte che devo partecipare a una riunione con il grande capo, qualcosa vorrà dire. Se trovo una ragazza bellissima, come l’ho sempre desiderata, e non riesco a farci l’amore, forse significa qualcosa.
Performance
Quando parliamo di questo tipo di ansia parliamo anche di performance, cioè, quello che gli altri, di cui abbiamo parlato finora, possono giudicare. La performance, dunque, può essere qualunque cosa che ci metta alla prova, qualunque cosa possa avere un risultato positivo o negativo e dipende dal nostro essere o dal nostro operato. Prendiamo in considerazione i seguenti esempi:
- colloquio di lavoro
- esame
- provino
- gara
- esibizione
- rifiuto
- rendez-vous sessuale
Cos’è che accomuna tutte questi esempi, oltre al fatto di coinvolgere il giudizio degli altri? La cosa che mi viene prima in mente è la paura del fallimento.
Ansia da prestazione: la paura del fallimento
Un ragazzo ha una cotta per una sua coetanea. Quando esce con gli amici ride, scherza ed è se stesso, ma quando la vede vorrebbe dirle qualcosa, invitarla al cinema, baciarla. Ma non riesce letteralmente a muoversi. La paura lo paralizza, lo stomaco gira come una lavatrice, la bocca gli si secca. Una giovane donna, laureata da qualche anno, ha mandato migliaia di curriculum, fatto decine di colloqui, anche con aziende di cui non gliene importava molto ma, si sa, bisogna pur campare.
A un certo punto la chiamano per un colloquio dall’azienda dei suoi sogni, per la posizione per cui sarebbe perfetta, quella che la farebbe svegliare ogni mattina con il sorriso, ma a poche ore dal colloquio comincia a sentire debolezza alle ginocchia e la testa comincia a vorticare. Un uomo single che era solito portarsi a casa una donna diversa ogni volta, un giorno ha un episodio di impotenza: per la prima volta in vita sua non riesce a fare l’amore. Non gli dà importanza, apparentemente, ma ricapita, con un’altra donna. Da quel momento, quando conosce una donna, comincia a preoccuparsi e la tensione sale talmente tanto che il più delle volte non gli riesce di fare l’amore. La paura di fallire è quello che accomuna il ragazzo innamorato, la donna che cerca lavoro e l’uomo single.
Il fallimento diventa lo spauracchio di tante persone, sia quando questa parola sottintende una catastrofe, sia quando viene considerata insignificante da chiunque altro. Fallire in una situazione carica di importanza, per questi soggetti significa fallire come persone. Insomma, più ci si avvicina al proprio desiderio, più si ha paura di non poterlo afferrare. E la paura in sé, mette a rischio proprio il raggiungimento del desiderio, per cui l’effetto del circolo vizioso è così garantito. Il paradosso è che il fatto di sapere che c’è una componente psicologica nel consolidamento del problema acuisce ancora di più il problema stesso.
La causa […] è solo di natura psicologica. Dipende da me, è colpa mia, è solo colpa mia. […] Tutto dipende da me. E se dipende da me, sono sicuro che non ce la farò. (Nanni Moretti, Caro Diario)
A volte è molto più semplice sapere che la cura consiste semplicemente nell’assumere un certo farmaco e aspettare passivamente che la chimica faccia il suo corso, piuttosto che dipenda da noi, dal nostro inconscio che non controlliamo. Se questo è vero per tanti disturbi psicologici, è particolarmente vero, dunque, per l’impotenza maschile, proprio per la sua natura così involontaria.
Ricordo vagamente un mito, di cui purtroppo non so l’origine e di conseguenza non saprei a chi attribuire la fonte.
Un giovane che era risaputo essere sessualmente molto attivo viene chiamato al cospetto di una regina molto bella ma severa. Questa gli ordina di giacere con lei e di essere performante come sempre, pena la morte. Naturalmente, sotto il peso di tale responsabilità, l’uomo non riesce ad avere un’erezione e, il giorno seguente viene giustiziato.
Questo mito riassume molto efficacemente il ruolo delle aspettative sul comportamento sessuale involontario maschile, ma anche l’ansia da prestazione uomo innamorato e la sua conseguente.
Il momento in cui l’ansia si manifesta non è soltanto il momento dell’esecuzione, ma anche prima, durante la fase preparatoria. In realtà è proprio questa prima fase a dare maggiore spinta e portanza all’ansia propria della fase dell’esecuzione. In altre parole tanto più ci preoccupiamo della performance, cioè abbiamo paura di fallire, nelle ore o nei giorni precedenti al momento in cui dobbiamo performare (l’esame, la dichiarazione, il colloquio, il rapporto sessuale, ecc.) tanto più il livello di tensione sarà alto e dunque la probabilità di fallire.
Ansia buona e ansia cattiva
È chiaro che nel momento in cui abbiamo un compito preliminare da svolgere (per es. una verifica a scuola o un esame all’università), un po’ d’ansia aiuta a restare concentrati sulla priorità per noi più importante, così evitiamo di disperderci in attività inutili ai fini del nostro obiettivo. Questa è dunque un’ansia buona. Se la tensione cresce troppo, però, l’ansia ci impedisce di dedicarci proprio all’attività preliminare (p. es. studiare) che ci consentirà di conseguire il nostro obiettivo (passare la verifica o l’esame). In questo caso si tratta di un’ansia cattiva.
La figura seguente illustra bene il concetto esposto. Al crescere dell’ansia (è ancora buona), la performance migliora, ma solo fino a un certo punto (qui indicato come punto intermedio, ma ovviamente varia in base all’individuo). Dopo di questo punto, a mano a mano che l’ansia continua a crescere (e diventa quindi cattiva) la performance cala, fino ad arrivare al minimo rendimento quando l’ansia è al massimo.
Note
Altri articoli su questo argomento
Ansia da prestazione: l’Impotenza maschile
Come dice il titolo, in questa pagina parlerò dell’impotenza maschile, ovvero la disfunzione erettile. Questa può avere cause organiche e cause psicologiche, anche se in